In un’opera di Isgrò l’arte è il tiro mancino che scocca la freccia oltre il bersaglio, perché non esiste bersaglio, che scavalca il quotidiano e cavalca la storia, la freccia vaga lungo un interstizio frastagliato, lungo la divaricazione tra desiderio e bisogno, tra pulsione al movimento e ancoraggio al momento finito del bersaglio: Freccia bianca in campo nero (la freccia indica un’altra freccia in volo) (1966). Il bersaglio presuppone l’attenzione appuntita di un’ottica cristallina, la certezza di un corridoio geometricamente franco, reso franco e sgombro, esorcizzato e garantito dalla compostezza del colpo, circoscritto dalla centralità, dalla coscienza centrale, dal linguaggio.
Achille Bonito Oliva, L’immagine presa in parola, “Dichiaro di Essere Emilio Isgrò”, catalogo della mostra personale, Prato, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, 2008, p.19.