Come Lucio Fontana con i suoi tagli e i suoi buchi ha formalizzato un concetto oltre la superficie della tela, così Isgrò con le sue cancellature ha dato un’identità nuova alle parole e ai segni che raccontano e rappresentano la pittura. Il gesto di Fontana e quello di Isgrò hanno molto in comune: i tagli e le cancellature hanno sposato radicalmente il senso della pittura, e allo stesso tempo, hanno affermato l’urgenza del continuare a praticarla attraverso una lingua e un codice nuovi. Perché è questo il problema affrontato dai tagli e dalle cancellature.
“Dai dieci ai ventiquattro anni”, annota Isgrò nel 1974 “ho parlato con le parole di Piero della Francesca e di Ludovico Ariosto, di Andrea Mantegna e di Giacomo Leopardi, di Paolo Uccello e di Gabriello Chiabrera. Ma non volevo dire ciò che essi dicevano: volevo dire cose opposte e lontane”. Cose paradossali e provocatorie allo loro prima dichiarazione, divenute nel tempo concetti eticamente e formalmente rigorosissimi.
Michele Bonuomo, Emilio Isgrò uomo di parola, in “Emilio Isgrò”, catalogo dell’opera Mediterranee. Lettere dal mare, Ed. Editalia, Roma, 2014.