Proprio il tempo è al centro della scena, ora. Gli orologi che caratterizzano ogni passaggio di questo lavoro di Isgrò sono il segno che più esplicitamente ci riporta alla memoria della strage del 2 agosto 1980, simbolicamente (come può essere simbolica la realtà) ricordata dall’orologio rimasto intatto all’esterno della sala d’aspetto della stazione, fermo all’ora in cui avvenne lo scoppio, le 10.25. Qui l’orologio, gli orologi, tutti uguali, a rappresentare la condivisione di quell’attimo, di quel momento, di ogni momento, sono indipendenti l’uno dall’altro, e dall’ora effettiva, e proseguono il loro compito di misurare il tempo. La loro è una presenza che introduce un elemento di unità visiva e di variabilità, amplificata dal battito di orologio diffuso nell’ambiente, segno di un tempo che scorre e va aumentando di intensità, fino a un passaggio repentino da un’intensa illuminazione, accecante, al buio e al silenzio, come è nelle intenzioni originarie dell’artista.
Francesco Tedeschi, in Emilio Isgrò: L’ora italiana, “Monographia. Emilio Isgrò: L’ora italiana”, Milano, ed. Intesa Sanpaolo, p.18