A volte il personaggio è identificato con la freccia, ma con un gioco mentale più sottile e spericolata: così, in Paolo e Francesca non si incontrano mai, i due amanti sono rappresentati da due frecce parallele. Ma il “graffio” qui, investe anche i luoghi comuni della cultura di tradizione: infatti noi sappiamo che all’infinito esiste l’ipotesi che le parallele abbiano in comune un punto improprio. Paolo e Francesca si sono incontrati? Si incontreranno? Non si incontreranno mai? E se non si sono incontrati perché sono condannati all’inferno? E se si incontreranno (in un punto improprio) saranno destinati o no, a peccare? E se non peccheranno perché dovranno andare all’inferno? Ma se Dante li ha collocati all’inferno, è ovvio, hanno peccato. E se hanno peccato è perché le rette parallele si incontrano. Ergo: se Paolo e Francesca hanno peccato e quindi sono all’inferno, la colpa è della geometria: all’inferno deve andarci Talete, dunque. È un esempio della “crudeltà gentile” di Isgrò: il fruitore è travolto in un gioco mentale di spaventosa conseguenzialità. Ma proprio la conseguenzialità rappresenta la dannazione della logica: ma nessuna proposizione anti-aristotelica è stata demolitrice di strutture prefabbricate come le “frecce” singlossiche di Isgrò.
Rossana Apicella, La crudeltà gentile di Emilio Isgrò, in “Emilio Isgrò”, catalogo della mostra personale, Galleria dei mille, Bergamo, 1974.