Questo seme (il seme dell’arte, il seme della vita, il seme di quel che vuoi) contiene già di per sé la teoria di ciò che è o potrà diventare.
L’operazione può diventare, in pratica, il modo più semplice per segnalare una condizione di malessere che ormai sfugge completamente a chi continua a non capire (o non vuole) che la concretezza finanziaria è cosa naturalmente ben diversa dalla concretezza dell’arte e della vita.
Mentre è indubitabile che senza una cultura autenticamente nuova e innovativa, e per ciò stesso legata ai veri bisogni di chi la produce, non può esistere neppure l’economia reale, quella che dà cibo, lavoro, respiro alla gente.
Quanto poi all’immagine da me inventata per questa operazione, non è sicuramente un caso che la mia scelta sia caduta su un minuscolo seme d’arancia piuttosto che su altri segni ben più riconoscibili e conclamati della società consumistica postmoderna, a questo punto troppo forte e minacciosa per avere bisogno del mio aiuto o di quello degli altri artisti.
Io non lavoro sulla clonazione planetaria. Non rappresento ciò che già di per sé è fin troppo vistoso e visibile, e dunque non ha bisogno di rappresentazioni ulteriori. Io, più modestamente, rappresento l’invisibile. Il seme che non si vede. Ma c’è.
Emilio Isgrò, Teoria del seme, in “Isgrò Seme d’arancia”, Milano, Electa, 1997