Nelle mappe di Isgrò (…) il primo effetto è quello di una perdita dell’orientamento che fa saltare le convenzioni nominali per ridisegnare una nuova geografia immaginaria, nel tentativo di conoscere il mondo negandone i punti cardinali e insinuandoci il dubbio che in fondo qualsiasi tipo di linguaggio potrebbe reggersi più che altro su semplici convenzioni. I segni neri e bianchi sulla carta evidenziano un lavoro fornito di una propria pittoricità, dall’andamento lineare e sinuoso, ritmato e simmetrico. Se poi dovessimo chiedere all’artista le ragioni delle scelte di questi luoghi invece di altri, probabilmente insisterebbe sulla componente calda, mediterranea, della sua ispirazione. Della somma di tante mappe è formato così questo atlante immaginario che sovverte l’ordine e lascia ben pochi punti di riferimento così come siamo abituati a percepirli.
Passata la fase di disorientamento, Isgrò suggerisce comunque di ricercare oltre, nel paradosso, nella forma pura che ridiventa immagine, colore, segno. Solo così ci sarà permesso un altro approccio all’opera, più poetico e slegato dalla realtà, sostanzialmente più puro. I luoghi assumono un diverso fascino rispetto a quello che di norma è segnato sulla mappa: non permane tanto il desiderio di sapere quel che c’è sotto, ma piuttosto di provare a capire perché ci lascia soltanto quelle poche informazioni, perché quelle e non altre.
Luca Beatrice, Disorientarsi, in “Emilio Isgrò. Disorientarsi”, catalogo della mostra personale, Venaria Reale, Res Publica Galleria d’arte democratica, p.7.